Finalmente si parte!
Domenica 25 settembre. Il volo
Roma/Casablanca dura tre ore, e quando arriviamo è sera ormai, anche se il fuso
registra due ore in meno rispetto all’Italia. All’arrivo ci aspetta il bus e
facciamo la conoscenza di Rachid, la guida marocchina che ci accompagnerà per
l’intero viaggio, insieme all’autista e a un ragazzo che farà la nostra conta
ogni volta che risaliremo sul bus. Ci trasferiamo a Rabat per dormire al Golden
Tulip hotel. La nostra camera è comoda e io e Carla siamo stanche, però
d’accordo con Vale, Gigia, Fab, Enrico. Birba e gli altri salgo per dare un’occhiata dalla terrazza superpanoramica,
ma siccome siamo tutti cotti e il letto ci reclama, dopo le prime foto e
qualche risata ce ne andiamo a nanna.
Lunedì 26 settembre. Piccola
visita di Rabat. Da Rabat arriviamo a Meknes, prime foto ai carrettini di
melograni e a quelli che vendono succo d’arancia, dolcissimo! Facciamo pranzo a
base di tajin, che è un piatto di carne e verdure, spizzicando olive bianche in
salsa piccante che per me e Alessandra sono di un’incomparabile delizia!
Attorno a noi, i camerieri si esibiscono nel rito del the alla menta.
Pomeriggio a Volubilis, sulla strada per Fes, per vedere le rovine romane. Fa
un caldo incredibile e la nostra guida locale, forse ottuagenaria, è un uomo
che veste la jillaba e che mentre ci conduce tra le rovine non fa che ripetere
“piano, piano”, ipotizziamo per la stanchezza e per il gran caldo, ciao
Monsieur Piano Piano! A Fes arriviamo in serata, si dorme al Ramada hotel e
Rachid ci suggerisce, dopo cena, di far due passi sugli Champs Elysées, perché
il viale alberato così ribattezzato dai locali evocherebbe l’originale
parigino, mentre a me evoca più i giardini dell’Alhambra. Foto con Giò accanto
a una fontana, insieme a Birba, Gioia & C.
Ma è talmente buio, verranno? A nanna, cotta e stracotta.
Martedì 27 settembre. Foto al
palazzo imperiale e mattinata alla medina, che è un fittissimo dedalo di
inestricabili e strettissime viuzze. Merce di tutti i generi, alimentari e non,
e poveri somari carichi fino all’inverosimile che trasportano ogni genere di
mercanzie. Al loro passaggio, al grido di “ballac, ballac” i loro padroni ci
invitano a spostarci tutti su un lato della via, ma è davvero il meno. Frutta,
pellami, borse, stoffe e tessuti di ogni genere, quintali d’argento e donne
velate, c’è solo l’imbarazzo della scelta, in mezzo a questo infinito
andirivieni umano che odora di essenze e di spezie. Siamo ubriache di odori,
suoni e colori. Per non perderci, il che sarebbe di una facilità unica, è
Rachid a condurre per primo, ma nel mezzo del gruppo indovino un uomo che non
ci perde d’occhio, e in coda ne abbiamo ancora un altro, che conosce un po’ la
nostra lingua e che avverte di voltare a destra o a sinistra, per quel vicolo o
quell’altro, se qualcuno si ferma per un acquisto con relativo contratto.
Rachid ci racconta qualcosa del Paese. Il Marocco è una monarchia democratica,
e re è il giovane Mohammed VI, figlio di Hassam II. Maghreb in arabo
vuol dire “dove tramonta il sole”, per cui il Marocco s’identifica per
l’appunto con il maghreb, mentre i marocchini definiscono maghreb arabo
tutti gli altri stati del nord Africa. E la razza è berbera, non araba, non
facciamo confusione, gli altri sono arabi, non noi, ok? OK, Rachid. Parliamo di donne. Indossano il velo
integrale, o hanno semplicemente il capo coperto, tutte in jillaba, che
è il costume nazionale, sia per uomini che per donne, ma troviamo anche
giovanissime in jeans, o il velo che viene indossato su abiti occidentali … di
noi penseranno che siamo disinibite, anche se questo termine forse non è
contemplato in un dizionario arabo, pardon Rachid, berbero. Pranziamo
all’interno della medina al ristorante Le Merinides, e subito dopo scambio
qualche frase con una bella ragazza che fa parte del management del locale e ha
occhi bellissimi, e siccome mi trova davanti a uno specchio deformante mi
spiega che non ho assoluto bisogno di perdere peso e che sono bella così come
sono. Insisto che vorrei tranquillamente perdere una ventina di chili, ma lei è
irremovibile, e mi raccomanda caldamente di non dimagrire, e che in Marocco
sono bellissima così come sono … Mais
je vis pas en Maroc, je vis à Rome, tu vois? Si convince a malincuore, declinando il capo. Devo ricordarmi di
scriverle una mail, gliel’ho promesso. Quando rientriamo in hotel sono le sei
di sera e facciamo un bagno nella piscina che si trova al 1° piano, io e Giò, bien
sûr!! Con platea …
Mercoledì 28 settembre. In
cammino per arrivare a Erfoud, facciamo sosta per il caffè nella Petite Suisse,
che è una magia di verde e di case dai tetti spioventi, sembra veramente di
essere in Svizzera, in quest’allegria di fiori e di colori … nel bar dove sono
con Giò e Birba e Gioia e dove chiedo, in francese, tre caffè e un succo di frutta
per Giò, mi viene chiesto: Vous êtes
berbère, Madame, de où? Rispondo che non lo sono per due volte, e poi: A Rome
nous ne sommes pas berbères, Monsieur, pas encore! E quando Giò intuisce che il
succo di frutta (doverosamente al latte) sarebbe solo un concentrato di frutta
come il “tropical” degli anni ‘70 (ovvero latte e menta) glissa, sarà per il
prossimo bar!! Rachid ci racconta del cumino che, come ogni spezia, cresce in
zone aride. E i suoi consigli sono che il the alla menta è indicato per il mal
d’auto, e che un cucchiaino di cumino e mezzo bicchiere d’acqua, da assumere
separatamente, è indicato per i problemi intestinali, ma credo che nessuno di
noi farà tesoro di questo consiglio. Meglio non rischiare … Midelt è il punto
d’incontro tra l’alto Atlante e il medio Atlante. Ogni città ha il suo simbolo
e Midelt ha una mela rossa. Csar in arabo vuol dire casa con quattro torri, ma
a pranzo ho scoperto che è anche il nome di un’etichetta di vini (vino della
casa?), beh, come da noi il Frascati. A Midelt la temperatura scende d’inverno
a -5, e Rachid ci racconta che le famiglie benestanti di Fes hanno seconde case
in montagna, e cioè nella Petite Suisse. In effetti, lungo la strada siamo
circondati da ville e villette veramente belle. Rachid continua dicendoci che i
motivi in rilievo che ritroviamo sugli alberghi e nei ristoranti rappresentano
le diverse tribù, buono a sapersi. L’alto Atlante è una catena brulla, mentre
il medio Atlante è una zona boschiva. Ecco le prime palme, che meraviglia,
quante tonalità diverse! Il Marocco è il primo produttore al mondo di palme da
dattero. Dalla valle del Zis (che vuol dire gazzella) proviene il 25% della
produzione nazionale dei datteri. Stiamo procedendo verso sud/est. La valle
segue il percorso del fiume e la vediamo una volta a destra, l’altra a
sinistra. Proseguiamo costeggiando boschi di olive e da lontano vediamo un
cimitero ebraico che ha un muro rosa a delimitare la zona. Rachid racconta che
alle donne marocchine non è permesso di partecipare ad un funerale, per cui si
recano a vistare il caro estinto tre giorni dopo, e che comunque il massimo
rispetto che si usa verso un defunto è seppellirlo in tempi brevissimi. E se si
tratta di morte apparente? Nella valle del Zis ci sono palme, noci, mele e
melograni, ma non banane. E nelle gole del Zis ci fermiamo per le foto. La
prima raccolta dei datteri comincia a partire da ottobre, come per le olive, e
a Erfoud ci sarà la II edizione mondiale dei paesi produttori. Particolare
curioso: quando una palma non sta bene, si brucia appena il tronco per curarla.
E della palma,come per il maiale, ma è un accostamento ardito, non si butta via
niente. Troviamo ancora olive e mandorle e qualche orto, che qui viene inteso
come giardino. Er Rachidia è una bella città che ha un minareto per ogni
quartiere. Qui si sussegue la stessa dinastia dal XVII secolo, poiché è
riuscita a strappare il dominio ai berberi. Stasera, belli stanchi, domiamo a
Erfoud all’hotel Xaluca, che Rachid pronuncia Gialuca. E’ un hotel da
innamorati, dico a Giò mentre beviamo un aperitivo lungo la piscina
snocciolando semi. Un gioiello alle porte del deserto e siccome la piscina mi
piace da morire, con Giò decidiamo di farci un bagno domattina, al ritorno dal
giro nel deserto. Perché ci alzeremo nella notte, anzi alle 3 e ½ del mattino
ci verranno a prendere coi fuoristrada per una passeggiata nel deserto in cui
vedremo sorgere l’alba. La camera è deliziosa, e faccio una marea di foro,
anche Carla allo specchio, senza trascurare ogni minimo dettaglio dal letto al
lavabo, dalla doccia alle arance di cortesia. La camera è un amore anche se
fuori c’è il nulla, e mi piacerebbe tornarci, e quando Giò mi chiede quale
secondo me è l’aeroporto più vicino sono prontissima per la risposta: Ozz, cioè
Ouarzazate, Madame! Una scappatina ce la farei davvero, ma non da sola, entiendi?
Giovedì 29 settembre. Tornando
al deserto, c’è chi ha prenotato il giro sul dromedario, perché in Marocco non
ci sono i cammelli, e chi andrà “on the sand”, duna dopo duna. Alle 3
del mattino nella hall sono pronti i caffè che gradiamo da morire e, dopo
un’occhiata al bellissimo ragazzo, in verità giovanissimo, con copricapo bianco
alla maniera dei tuareg, che guiderà il mio fuoristrada di riferimento, salgo a
bordo insieme ad altri quattro. Siamo un corteo di fuoristrada e, dopo circa
un’ora di macchina, con sobbalzi notevoli nel buio della notte. Arriviamo in
una specie di radura. I dromedari sono parcheggiati in circolo e stavano
schiacciando un pisolino in attesa del nostro arrivo. Alessandra ed io restiamo
con Rachid e beviamo un the. Rigorosamente alla menta, aspettando l’alba
davanti a un piccolo hotel che sembra una stazione di posta. Questa sabbia è
davvero diversa da quella che abbiamo al mare, si affonda parecchio quando Ale
ed io facciamo quattro passi sulle dune al sorgere del sole. Al rientro in
hotel, io e Giò facciamo colazione con gli altri, ma siamo solo noi a mettere
l’adorato costume per il bagnetto in piscina mentre Birba volteggia intorno a
noi come un reporter d’assalto … L’acqua non è proprio un brodo, ma il bagno ai
primi raggi del sole, con un fondale di
palme e ibischi, è spettacolare!! Ci dispiace solo di dover andar via,
Masa Alama Xaluca! (Arrivederci)!!! Ricarichiamo il nostro bagaglio sul pullman
e vvvvvvvvvvvvia verso Ouarzazate. Faremo una sosta per il caffè dopo 80 km.
Rachid ci racconta che esistono quaranta varietà di dattero, la femmina è una
scopa dove viene inserito il seme del maschio e la scopa viene ricoperta da una
foglia. Ai primi di aprile, avviene la fecondazione e se c’è una buona
stagione, in settembre una sola palma riesce a dare 200 chili di datteri,
mentre se la stagione è magra non ne dà più di 50. Curiosità: un proverbio
marocchino recita: “chi pianta dattero, non mangia dattero”, a significare che
ci vogliono molti anni prima che cresca. Ancora qualche parola araba: Sidi
(mio signore), come continuo a chiamare Rachid, e Lallà (mia
signora). Andiamo a vistare una fabbrica di macro fossili e trilobiti. M’innamoro
di un tavolo molto bello, si parla di 1.200 euro trattabili che comprendono
anche il trasporto e comincio a contrattare ma quando mi rendo conto che non ho
spazio lascio la partita. Un uomo che lavora all’interno e che indossa una jillaba
color del cielo mi chiede quanto costano i miei occhiali da sole perché
vorrebbe regalarli alla moglie. Quando rispondo che il loro prezzo è sui
100/120 euro resta a guardarmi senza
parole! Oggi vedremo l’Antiatlante a sinistra, che è una catena alta e nera, e
l’alto Atlante a destra, che è rosso dalle parte delle gole (gola arrossata si
dirà da queste parti?!) Non lo faccio più, prometto! Rachid continua nella sua
veste di guida, la tribù di Aitadda è la più grande del Marocco, e ogni tribù
ha il suo tappeto, perché ogni tappeto ha la sua storia. A 15 chilometri
troviamo la valle del Todra, che si scrive Toudgha, quante foto, una marea …
pranziamo tra le gole di Tinghir, il luogo è davvero suggestivo, con le rocce
che cambiano colore, e se non ci fossero le persone sembrerebbe davvero un set
cinematografico, ma forse lo è stato, e non lo sappiamo né io, né Rachid, peut-être
… Siamo nell’alto Atlante, e la valle è ordinata e curata. E le palme sono alte
perché c’è acqua minerale che scorre tutto l’anno.
Venerdì 30 settembre. Siamo a
Ouarzazate (Ozz) e al mattino presto, prima delle 7, mi ritrovo nella
splendida, magnifica piscina del Berbère Palace per un bagno con Giò e
Marinette. Che meraviglia! Siamo alla casbah, il Pascià aveva 4 mogli e 5
concubine, perché doveva avere assicurati 90 figli, ci pensate? Il nostro
cicerone, che parla arabo e francese, e fin qui va bene perché sono le sue
lingue, ma anche inglese, giapponese e italiano senza mai essere uscito dal suo
Paese, racconta che per il calendario
berbero siamo nell’anno 2961, per quello arabo nel 1462, e che “per
comodità” adottano quello cristiano perché è più stabile … “Senza parole” era
una canzone degli anni ’70 cantata da Luciano Rossi … Visitiamo il palazzo e le
sue stanze nelle quali ci fa rivivere l’atmosfera del tempo, e a parte le
cucine, il portavivande e quant’altro, veniamo a sapere che la donna marocchina
non cerca un fidanzato ma il matrimonio, che la poligamia è finita nel 2004 e
che il berbero è stanziale, non ha la cultura del viaggio, per cui (e cito
testualmente) ”le donne che s’innamorano di noi tornano a trovarci”, conclude
Rachid. Non commentiamo ma i nostri occhi parlano … Ouarzazate vuol dire “senza
rumore”, è la città di terra, senza monumenti, non ha una storia antica ed è
stata costruita per essere una guarnigione. Parte dell’ornamento della città è
un muro di pietra per nascondere la roccia, e se escludiamo gli studi
cinematografici, l’unica attività che emerge è l’artigianato, proveniente da
Marrakech che si trova a 200 km. Il simbolo di Ozz è una pellicola
cinematografica, e poiché in città non nevica, d’inverno mantiene il suo colore
rosso con le cime innevate che gli fanno da cornice. Iallà (andiamo). I
berberi hanno sempre usato colori vivaci, è per questo che anche i loro piatti
sono coloratissimi. Rachid racconta che il re ha dato molta importanza a Ozz,
ma che i governatori, come dire, non si sono comportati bene … Paese che vai …
Dopo pranzo visitiamo le case di sabbia di fiume e paglia e dopo le foto sul
ponte e una foto di gruppo, regalo la mia Ball Pentel nera a un ragazzo che mi
ha chiesto una Bic, e sigarette a lui e ai suoi amici che vendono oggetti di
pelle in due negozietti (si fa per dire) a ridosso del ponte: Comment
t’appelles-tu, Madame? Moi, Mubarak! Rispondo con un’espressione appena
imparata e lui sorride: Tasciarraf-na, Saidi! Vedremo da vicino il
frutto dell’argan, che somiglia all’olivo. E’ incredibile il ruolo delle capre
con il frutto di argan … La pianta si estende per migliaia di ettari e ha
bisogno di due climi, ovvero sia dell’aridità dell’Atlante che dell’umidità
dell’Atlantico. Da 100 chili di argan si ricava un litro di olio. Poi c’è lo
zafferano che cresce a 1.800/2.000 metri di altezza. Da un ettaro di campo
seminato si ricavano solo 100 grammi di polvere, per cui di entrambi si deduce
l’alto costo al dettaglio. Ancora una parola in arabo. Sahara, in arabo, vuol
dire deserto.
Sabato 1° ottobre. Siamo a
Taroudant, la cittadina circondata da mura d’argilla. I giardini dell’hotel
dove abbiamo dormito sono da 1.000 e una notte, e Birba, Giò and I ci siamo
alzate prima delle 7 per scattare foto al Palais Salem in assoluto
silenzio. Stamattina il cielo è bigio, eppure nulla riesce a scalfire la
bellezza di questo giardino sub-tropicale e di questi fiori che incorniciano camere e suites come ciocche di
capelli. E’ un antico albergo in un trionfo di foto/cartolina, con la luce che
penetra nel verde, caschi di banane, fontane con le tartarughe e fiori di
jacaranda che colorano le chiome degli alberi … L’hotel avrebbe bisogno di una
spolverata ma conserva tutto il suo antico fascino, e dopo colazione, mentre
gli altri hanno scelto di visitare il suk, Giò ed io prendiamo un calèche
per 6 euro e per tre quarti d’ora ce ne stiamo a zonzo in città. Dopo il pranzo
in albergo, salutiamo il Palais e ci mettiamo in marcia per Essaouira. Sciocran
vuol dire grazie ed è questa l’unica parola che sono riuscita a capire dalla
femme de chambre cui ho regalato 5 euro, e che mi parlava mettendosi una mano
sul cuore per poi darmi un bacio. Stiamo arrivando sulla costa atlantica, ma ci
fermiamo ad Agadir per scattare qualche foto dall’alto sul porto. Anche qui c’è
un dromy-park, only for tourists, ma abbiamo già dato. Ad Agadir ci sono 9
chilometri di spiagge e fuori città, con un sole incredibile, vediamo lunghi
tratti di spiaggia con famiglie al gran completo che hanno parcheggiato le loro
macchine in fila verticale, rispetto al mare, ognuna “diligentemente” parallela
all’altra. On the beach, cammelli & cavalli, e in acqua gli scooter, anche
qui si respira aria europea. Le donne, però, sono rigorosamente vestite e
velate sotto il sole, col caldo che c’è. Ogni negozio vende banane, ce ne sono
in quantità, uno attaccato all’altro. Nanna? Bzz, bzz, bzz ….
Domenica 2 ottobre. Bagnetto
in piscina con Giò che è più audace di me, Birba è il nostro National
Geographic reporter. Davanti all’hotel Atlas, dove abbiamo alloggiato, c’è
l’isola di Mogador, ex possedimento portoghese. Per le foto, zoommo donne
velate e di spalle, poi ssssssssi parte. Essaouira vuol dire “ben disegnata”, è
la città di Orson Welles che vi ha girato alcuni films e la città gli ha
dedicato anche una piazza, perché è per il suo apporto che è stata conosciuta
negli anni ’70. I colori della città sono il bianco e il blu, le porte e le
finestre sono bianche e blu. La città è famosa per il pesce cotto alla griglia,
qui non si trova pesce fritto, non è tradizione, solo al barbecue. Rachid ci
racconta che Essaouira è la città dei cani che gironzolano nella medina e che a
sera se ne tornano a casa, come impiegati dal lavoro. Anche di gatti ce n’è una
marea e non hanno paura, fanno parte della popolazione, mentre il cielo pullula
di gabbiani che sfrecciano in un turbinio di bianco. E’ la città più fresca di
tutto il Marocco e facciamo sosta a pranzo in un locale carino, El Menzhab. Si
riparteeeeeee. Siamo in viaggio verso Marrakech, ultima tappa del nostro
viaggio dove arriveremo intorno alle 18 … “When I was just a little girl I asked my mother what will I be, if I’ll be pretty, if I’ll be
rich” … Vi ricordate la scena di Doris Day che canta al pianoforte ne
“L’uomo che sapeva troppo” di Alfred Hitchcock? La zona intorno a Marrakech è
agricola, ci sono melograni, grano e uva nera. Attraversiamo il ponte di uno
dei fiumi di Marrakech, che ne conta otto. Ma il fiume in questione è secco
perché più avanti c’è una diga, in Marocco ci sono 96 dighe. Il fiume più lungo
misurava 800 chilometri ed è il Dra, che però si è a poco a poco disperso nel
deserto e ora ne misura solo 370. A Marrakech c’è un incredibile palmeto che
conta all’incirca un milione di palme … E il clima è caldo ma secco, leggiamo
42° all’esterno, e quando scenderemo dal pullman saremo a ancora a 37° ma per
fortuna senza umidità. E’ tutta pianura intorno alla città che è denominata
anche perla rossa, o porta del deserto roccioso, oppure città della gioia. E’
la città dei quattro colori, ai piedi dell’alto Atlante, chiamata anche
giardino del Marocco, perché è la città più verde del Paese. Fino al 1990 non
c’era nulla a Marrakech, oggi invece conta 1.600.000 abitanti, e ha superato di
gran lunga Fes. A Marrakech abitano in permanenza 800.000 stranieri. C’è la
possibilità di soggiornare per 3 mesi , per poi eventualmente uscire e
rientrare di nuovo nel Paese, ma non vi è alcuna possibilità che la polizia
fermi uno straniero, qualora europeo, perché è decisamente valuta pregiata con
il cambio di 1 euro= 10 Dirham. Stasera cena tipica Chez Alì e ci
troviamo tutti nella hall alle 20.15. Cena con spettacolo a seguire tra
carosello di cavalli, fucili e spari, e danza del ventre, e Masa Alama
(arrivederci) scritto col fuoco alla fine mi ricorda più il Ku Klux Klan
di Mississippi Burning, e Fab concorda con me, però lo so da me che vedo
troppi films … A nanna dopo una serata tutta da raccontare.
Lunedì 3 ottobre. Visita
alla Moschea incompiuta e alle tombe saudite, c’è persino un gatto che miagola!
Però è un caldo afoso, oggi! Poi alla Barìa, che è il palazzo della Favorita,
tante foto perché si presta davvero, poi visitiamo l’Erboristeria berbera dove
lasciamo un totale di 2.250 euro, tra olio di argan, creme ai fiori d’arancio e
spezie dallo zafferano un poi. Pas mal se pensiamo di aver lasciato loro
un patrimonio di 22.500 Dhr!! Il medico officinale all’interno è un
loquacissimo e furbissimo imbonitore che riuscirebbe a vendere sabbia nel
deserto, e noi è vero che non acquistiamo sabbia, ma per il resto non ci
facciamo mancare niente, voilà! Pomeriggio libero e dopo pranzo ci dividiamo in
2 gruppi, perché c’è chi ha scelto di andare subito nella grand-place, e
chi come me vi arriva intorno alle 17 perdendo tempo altrove sotto una
pioggerellina che si dissolve nell’aria. Certo, l’emozione di ritrovarmi nel
film di Hitchcock, cercando di ravvisare le sagome del dott. McKenna ( James
Stewart) e consorte (Doris Day in tailleur perla) è grande!! La grand-place è
inimmaginabile, è un immenso brulichio umano di colori e odori, di donne velate
e non, di incantatori di serpenti e di suonatori di tutte le razze. C’è chi ha
il banchetto per leggere il futuro nelle carte, chi vende il pollame, e chi
sbarca il lunario come può, sono tempi duri un po’ per tutti, ma qui parecchio
di più. Domani saremo a Roma, ma ora sono qui e quando scorgiamo Fab ed Enrico
che ci chiamano da una terrazza, li raggiungiamo dopo aver “rubato” ancora
qualche foto, ormai è l’imbrunire, anche se tante altre ne faremo da lì. Ci è
stato detto che la sera è incredibile qui, ma meglio non osare. E poi la
sveglia è all’alba, anzi ben prima dell’aurora, perché alle 5.30 abbiamo il bus
per l’aeroporto. Cena e due chiacchiere davanti a un gin-tonic con Vale &
C.
Martedì 4 ottobre.
Prendiamo commiato da Rachid, saluti e abbracci. Lui ci ringrazia e ci dice
che si è comportato bene, e che non è
stato marocchino, come a dire che si è “tenuto” … perché cosa avrebbe voluto
fare?! Ridere aiuta, e sorridere anche. Volo Marrakech/Casablanca e poi il
Casablanca/Roma. Tutti a casa con i residui di qualche ostinato disturbo
intestinale che non ci ha lasciato mai soli ma, se per essere belli bisogna
soffrire, noi siamo bellissimi!!! Nous sommes très heureux,
nous avons été bien, a quando il prossimo viaggio? Un abbraccio a
tutti, con straripante affetto anche a Carla che con infinita pazienza mi ha
ascoltato tra le braccia di Morfeo
P.S. volevo
aggiungere che le parole in arabo sono state riportate con la loro pronuncia
poiché non ho ancora imparato la lingua e non credo di farlo in questa vita, ciaoooooooooooooooooooooooooo!
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